Davanti all’opera Inconscio, lo sguardo è subito catturato da una superficie nera e lucida, profonda come un abisso e viva come uno specchio deformante.

A seconda del punto di osservazione, emergono figure inquiete: volti che gridano in silenzio, maschere spezzate, sembianze sfuggenti di anime in tumulto. Una mano astratta si tende nel vuoto, sospesa tra il desiderio di afferrare e il bisogno di lasciare andare.

Questa materia oscura, mutevole, è più di un’opera: è un varco. L’opera ci invita ad entrare nel regno profondo dell’anima, in quel luogo dove si nascondono le paure inconfessate, i ricordi sopiti, i segreti che nemmeno noi osiamo ammettere.
Ogni riflesso è una rivelazione.
Ogni forma ambigua, una domanda scomoda.

Ma Inconscio non è solo inquietudine.
È un atto di coraggio. Guardare quest’opera significa guardarsi dentro, accettare l’ambiguità, la fragilità e la forza che coesistono dentro di noi.
Solo esplorando i nostri lati più oscuri possiamo scoprire ciò che davvero ci muove, ciò che ci rende vulnerabili ma anche capaci di affrontare le sfide che la vita ci impone.

Inconscio è uno specchio nero.

E dentro quel nero, se hai il coraggio di guardare, trovi te stesso.